C’è un modo per sviluppare le fonti di energia rinnovabile senza deturpare ambiente e paesaggio? E c’è un modo per farlo rispettando le comunità locali, riducendo i costi e considerando l’energia elettrica pulita un bene comune?
La risposta è sì.
Tuttavia oggi si va in tutt’altra direzione: impiantare grandi parchi eolici e fotovoltaici, deturpando ambiente, paesaggio, biodiversità, storie locali, beni archeologici, senza alcuna pianificazione e senza alcun rispetto per la volontà delle comunità locali. Anzi, peggio, con forme di compensazioni che le deridono persino. Pensiamo che numerosi proponenti sbandierano due posti di lavoro in più come aumento dell’occupazione.
Questo perché accade? Perché l’attuale modello socio-politico ed economico è basato sul liberismo economico. Il ché, nei suoi principi fondamentali, è anche una bella cosa (libertà d’impresa, competizione che porta all’efficienza e alla riduzione dei costi, sviluppo tecnologico, benefici diffusi, ecc. ecc.), ma nella pratica avviene il contrario di quanto si esprime in teoria.
Prendiamo ad esempio l’attuale sviluppo delle fonti di energia eolica. Grosse aziende scelgono un territorio dove impiantare parchi eolici solo seguendo un freddo calcolo di costi-benefici. Meno il territorio è protetto dalla pianificazione territoriale e più è economico investirci. Meno valgono i terreni (con uliveti colpiti dai disseccamenti e conseguenti deprezzamenti) e più si risparmia. Più la zona è vicina alla stazione di immissione alla rete nazionale e meno saranno i tracciati che servono per collegare le pale alla rete. Meno è politicamente cosciente e attiva la popolazione locale è minori saranno le compensazioni.
Poi non importa che quel territorio produca più di quanto consumi. Oppure che quei terreni sono ottimamente condotti da laboriosi contadini. Oppure che, in zona, ci siano aree archeologiche ancora tutte da scoprire. O ancora, che portare l’energia dalla Puglia (che produce più di quanto consuma) alla Lombardia (che consuma più di quanto produce) genera dispersione elettrica. Tanto la paghiamo noi consumatori in bolletta.
Per queste aziende lo sviluppo delle rinnovabili è solo un business. Uno come tanti. L’obiettivo non è la transizione energetica, ma il profitto.
Ecco dov’è la differenza tra la narrazione e la realtà. La narrazione dice che dobbiamo accettare le rinnovabili, perché dobbiamo passare ad un modo di produzione energetica sostenibile. E siamo tutti d’accordo. Ma la realtà dice che se si lascia lo sviluppo delle rinnovabili al liberismo, si produce caos, inefficienza, dispersione, deturpamento di luoghi e paesaggi.
Ecco perché noi del Comitato TAS abbiamo formulato una proposta, per uno sviluppo delle rinnovabili equo, sostenibile, efficiente e che porti per davvero alla riduzione dei costi in bolletta.
La proposta
La proposta concerne lo sviluppo di micro reti di energia da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico), diffuse organicamente su tutto il territorio nazionale e su scala locale, senza ulteriore consumo di suolo (dunque ad es. in edifici pubblici e privati, piazzole, zone industriali e artigianali, periferie urbane, ecc.), armonizzati nel contesto e acquisiti dalle Comunità locali, con forme di azionariato popolare, regolamentate e coordinate dagli Enti locali, anche in forma associata, che si fanno garanti per le fasce più deboli della popolazione, anche in sinergia con aziende e famiglie, in ottica mutualistica e solidaristica, in cui l’energia prodotta viene consumata sul territorio, in ambiti ottimali, con relativo abbattimento dei costi degli oneri di sistema e della materia trasporto dell’energia e gestione del contatore, previo accordo tra gli Enti coinvolti e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
Le comunità locali, dunque, acquistano collettivamente gli impianti per una potenza nominale ed effettiva sufficiente a coprire il proprio fabbisogno, pianificando altresì eventuali potenziamenti a fronte di eventuali aumenti del fabbisogno. Possono accedere, al pari delle società, a finanziamenti pubblici previsti dal New Green Dial europeo e ottenere gli impianti gratuitamente, o quasi.
Dopodiché ne curano la gestione e, in ottica responsabilizzante, saranno persuasi ad efficientare i consumi e garantire il perfetto funzionamento degli impianti, considerati come un bene comune e, al contempo, individuale.
Saranno le comunità a scegliere autonomamente e sulla base di imprescindibili atti di coordinamento regionali, nazionali e sovranazionali, i luoghi in cui installare gli impianti, a deciderne la potenza, le altezze, con progetti elaborati con criteri di interesse pubblico, da Enti e professionisti locali. Installazione e gestione sarà svolta da maestranze e aziende locali, con conseguente incremento dell’occupazione.
Inoltre in questo modo si realizza quella filosofia per cui il consumatore finale non è più tale, ma prosumer, produttore e consumatore consapevole. Il tutto in un quadro di pianificazione energetica razionale e condivisa.
In questo modo l’energia non si disperde e non avvengono i noti problemi relativi alla connessione alla rete nazionale, uno tra tanti la congestione delle reti, con relativa inefficienza distributiva e danni a reti e consumatori. Oppure, come s’è detto, la dispersione, che in Italia si attesta sul 6% (circa 3-5 € di costi in bolletta a bimestre, alla voce trasporto dell’energia).
I progetti proposti dalle grosse società, al contrario, sono visti dalle comunità locali come un segno di colonizzazione, un qualcosa di alieno, di altro da loro, per cui l’energia non resta sul territorio, mentre i costi in bolletta restano conseguentemente alti. Anzi, più aumenteranno i mega parchi eolici e fotovoltaici e più aumenteranno i costi in bolletta.
la scelta dei luoghi non è condivisa, così come le altezze e la potenza degli impianti, e, in generale, la progettazione è realizzata non tanto sulla base delle migliori condizioni di producibilità e distribuzione, quanto per meri calcoli di costi benefici, con criteri opportunistici e spesso speculativi.
Gli impianti vengono progettati da società che non conoscono il territorio, i suoi pregi, il valore storico-culturale ed affettivo che si rinviene non solo nelle testimonianze storico-naturalistiche, ma anche nelle pietre, nei tratturi, nelle terre, nel complesso del paesaggio, considerato in modo unitario, che testimoniano l’esistenza di una Civiltà contadina, subalterna alla cultura dominante, ma espressione di una visione del mondo alternativa, quella visione che occorre ricostruire non tanto e non solo per opporsi alla colonizzazione energetica, quanto per disegnare un nuovo modo di rapportarsi al territorio, come protagonisti attivi, che non cadono più nel ricatto speculativo. Ci sono altri modi di arrivare alla transizione energetica. E non è detto che per farlo si debba passare dalla violenza a territorio, paesaggio e comunità.